Ça va sans dire: non c’è civiltà dall’inizio dei tempi che non abbia rincorso l’acqua dolce e provato a controllarla, gestirla e depurarla in quanto bene primario necessario alla vita.
Tutte le grandi città sono nate sulle rive di grandi fiumi o ne hanno deviato il corso a proprio vantaggio con dighe e infrastrutture tecniche spesso di pregiata fattura, vista l’importanza che il bene trattato aveva e ha ancora oggi.
Dighe, acquedotti, cisterne, depuratori: più alta era la qualità di queste infrastrutture e migliore sarebbe stata la qualità dell’acqua a disposizione e, di conseguenza, la vita dei cittadini. Secoli fa non ci si poneva il problema rispetto alla disponibilità di una risorsa come l’acqua, ritenuta “infinita” e sempre disponibile. Oggi siamo invece a un punto di svolta e le prossime azioni dell’uomo nei confronti del bene dei beni saranno fondamentali per l’approvvigionamento futuro.
L’acqua dolce è, infatti, un bene ad altissimo valore, se facciamo nostro l’assunto economico secondo cui il valore di un bene è determinato dalla sua scarsità e questa oggi scarseggia sempre più.
Oltre due miliardi di persone vivono attualmente in aree soggette a stress idrico e circa 3,4 miliardi di persone - il 45% della popolazione mondiale - non hanno accesso a strutture igienico-sanitarie gestite in modo sicuro. Non solo, il deficit idrico globale arriverà al 40% entro il 2030.
Come possiamo intervenire? Sono quattro gli asset da parametrare e su cui agire per garantire un futuro in cui l'approvvigionamento idrico sia sufficiente per la popolazione mondiale:
L’uso globale di acqua dolce è aumentato di sei volte negli ultimi 100 anni e continua a crescere a un tasso di circa l’1% all’anno dagli anni ‘80 (AQUASTAT, s.d.), principalmente nella maggioranza delle economie emergenti, nonché nei paesi a basso e medio reddito (Ritchie e Roser, 2018). Quali sono i principali fattori che influiscono sull’attuale crescita di richiesta di acqua?
A ciò si aggiunge l’agricoltura, che include attività quali l’irrigazione, il prelievo di acqua per il bestiame e l’acquacoltura, responsabile del 69% dei prelievi idrici globali. Rapporto che può raggiungere il 95% in alcuni paesi in via di sviluppo (FAO, 2011a). L’industria (compresa la generazione di elettricità ed energia), invece, è responsabile del 19%, mentre i comuni lo sono del restante 12%. La maggior parte degli autori concorda sul fatto che l’uso dell’acqua per l’agricoltura dovrà però affrontare una crescente competizione in termini di domanda da parte dell’industria e dei settori energetici, ma anche dagli usi municipali e domestici, principalmente in funzione dello sviluppo industriale e del miglioramento della copertura dei servizi idrici e igienico-sanitari nei paesi in via di sviluppo e nelle economie emergenti (OCSE, 2012; Burek et al., 2016; IEA, 2016).
Lo stress idrico colpisce molte parti del mondo ed è definito come una condizione, temporanea o prolungata, di assenza di acqua, solitamente carente a livello del terreno. Si tratta spesso di un fenomeno stagionale o annuale e si stima che circa quattro miliardi di persone vivano in aree che soffrono di grave scarsità idrica fisica per almeno un mese all’anno (Mekonnen e Hoekstra, 2016).
Secondo il rapporto del World Resources Institute (WRI), che ha misurato la domanda e la disponibilità di acqua in 167 Stati, l’emergenza dell’acqua sarà uno dei problemi più seri che colpirà il nostro pianeta, non solo nelle zone povere ma anche nei Paesi più sviluppati. Entro il 2040 infatti saranno ben 33 gli Stati che dovranno affrontare uno stress idrico “estremo”: tra questi circa 14 si trovano nella sola area mediorientale, con gravi rischi di instabilità politica, ma la scarsità di risorse idriche, sottolineano i ricercatori, si farà sentire anche in altre parti del mondo tra cui anche in alcune zone italiane e balcaniche.
A causa della mancanza di capacità di monitoraggio e comunicazione, soprattutto in molti dei paesi meno sviluppati, i dati sulla qualità dell’acqua globale rimangono scarsi.
La qualità dell’acqua si è in ogni caso deteriorata a causa dell’inquinamento in quasi tutti i principali fiumi in Africa, America Latina e Asia e, a livello globale, si stima che l’80% di tutte le acque reflue industriali e urbane venga rilasciato nell’ambiente senza alcun trattamento previo, con effetti dannosi sulla salute umana e sugli ecosistemi. Come già noto, a paesi meno sviluppati corrisponde un rapporto percentuale maggiore e strutture per il trattamento delle acque reflue gravemente carenti (WWAP, 2017). Anche la gestione poco oculata del deflusso agricolo è considerata una delle criticità più diffuse legate alla qualità dell’acqua a livello globale (OCSE, 2017a).
La qualità dell’acqua per la società è determinata dalla qualità e dalla “salute” delle infrastrutture idrauliche che vengono impiegate per captarla, immagazzinarla o trasportarla. A conferma dell’incipit di questo articolo, lo sviluppo socio-economico risulta infatti piuttosto limitato in quei paesi che non dispongono di infrastrutture sufficienti per gestire l’acqua.
C’è poi una vasta fetta di popolazione (circa 1,6 miliardi di persone) che, pur avendo disponibilità fisica di acqua, deve affrontare la scarsità d’acqua “economica”: l’acqua c’è ma mancano le infrastrutture necessarie per accedervi (Comprehensive Assessment of Water Management in Agriculture, 2007). Si stima quindi che entro il 2030, gli investimenti nelle infrastrutture igienico-sanitarie e per la fornitura idrica dovranno corrispondere a circa 900-1.500 miliardi di dollari americani all’anno, circa il 20% del fabbisogno totale necessario per tutti i tipi di investimenti infrastrutturali (OCSE, 2017b). Circa il 70% degli investimenti totali nelle infrastrutture saranno nel Sud globale, con un’ampia quota nelle aree urbane in crescente sviluppo (GCEC, 2016). Nei paesi sviluppati, saranno necessari ingenti investimenti per la ristrutturazione e l’aggiornamento.
Questa la situazione, quindi che fare?
La soluzione risiede nella transizione verso un modello di economia circolare nell’utilizzo delle risorse idriche e nell’implementazione di soluzioni tecnologiche sostenibili e predittive per il monitoraggio delle perdite dagli impianti, vero tallone di achille delle infrastrutture idriche.
Sensoworks offre una soluzione dedicata alle perdite d’acqua da condutture cosiddette primarie, ovvero quelle condutture pubbliche che portano l’acqua nei quartieri e la smistano poi nelle abitazioni.
La piattaforma identifica la perdita tramite una serie di sensori che, posti nella parte esterna dei tubi (la parte non impermeabile), capta vibrazioni e suoni e riesce a identificare i diversi status della tubatura segnalando anomalie e permettendo un intervento immediato. Raccoglie inoltre dati in real time che, aggregati ed elaborati, forniscono un data-set predittivo fondamentale per pianificare la giusta manutenzione ed evitare interventi last minute onerosi e poco risolutivi sul lungo termine.
Di questo parleremo nel prossimo articolo sul blog di Sensoworks. Nel mentre, se vuoi una panoramica completa sul concetto di INFRASTRUTTURA IDRICA 4.0 puoi scaricare il nostro White Paper cliccando qui!